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Ambienti insalubri, comporto ampio

del 09/04/2011
di: di Alba Mancini
Ambienti insalubri, comporto ampio
È illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto nel caso in cui la malattia del lavoratore è stata determinata da un ambiente da lavoro insalubre. Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza 7946 del 7 aprile 2011, ha chiarito come «le assenze del lavoratore per malattia non giustificano, tuttavia, il recesso del datore di lavoro, in ipotesi di superamento del periodo di comporto, ove l'infermità sia, comunque, imputabile a responsabilità dello stesso datore di lavoro, in dipendenza della nocività delle mansioni o dell'ambiente di lavoro, che abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell'obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.) o di specifiche norme, incombendo al lavoratore l'onere di provare il collegamento causale fra la malattia che ha determinato l'assenza e il superamento del periodo di comporto, e le mansioni espletate». La sezione lavoro ha inoltre ricordato che il licenziamento, per l'ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore, tanto nel caso di una sola malattia continuata quanto in quello del succedersi di diversi episodi (c.d. eccessiva morbilità), «si inquadra nello schema previsto ed è soggetta alle regole dell'art. 2110 c.c., che prevalgono, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali. Ciò vuol dire che l'azienda, da un lato, non può unilateralmente recedere o comunque, far cessare il rapporto di lavoro prima del superamento del limite di tollerabilità dell'assenza (cd. periodo comporto) (...), e, dall'altro, che il superamento di quel limite “è condizione sufficiente di legittimità del recesso”, nel senso che non è necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo, né della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, né della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse, senza che ne risultino violati disposizioni o principi costituzionali».
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