L'inchiesta penale spiana la strada agli studi di settore. Infatti, la percentuale di ricarico accertata dalla polizia tributaria e contabilmente incongruente legittima l'accertamento con gli standard. Lo ha sancito la Cassazione che, con la sentenza numero 4634 del 25 febbraio 2011, ha accolto il ricorso dell'Agenzia delle entrate. Un'azienda era stata sottoposta a un'inchiesta penale per evasione fiscale. Era stato accertato che il ricarico sulle merci vendute era incongruente rispetto a quello contabilizzato. L'ufficio aveva spiccato un accertamento, basato sull'inchiesta penale, e fondato sulle medie di settore. La società aveva impugnato l'atto impositivo e la ctp lo aveva annullato. Stessa sorte in secondo grado. Ma i giudici con l'Ermellino hanno chiarito che «gli studi di settore rappresentano la predisposizione di indici rilevatori di una possibile anomalia del comportamento fiscale, evidenziata dallo scostamento delle dichiarazioni dei contribuenti relative all'ammontare dei ricavi o dei compensi rispetto a quello che l'elaborazione statistica stabilisce essere il livello «normale» in relazione alla specifica attività svolta dal dichiarante». E ancora. «Lo scostamento non deve essere qualsiasi, ma testimoniare una grave incongruenza». Ciò legittima l'avvio di una procedura finalizzata all'accertamento nel cui quadro i segnali emergenti dallo studio di settore (o dai parametri) devono essere corretti, in contraddittorio con il contribuente, in modo da «fotografare» la specifica realtà economica della singola impresa la cui dichiarazione dell'ammontare dei ricavi abbia dimostrato una significativa incoerenza. Di più. Secondo il Collegio di legittimità, pur in presenza di una contabilità regolare «l'inattendibilità dell'intero apparato contabile» può risultare presuntivamente dalle rilevanti differenze tra i ricavi dichiarati e quelli indirettamente ricostruiti anche, com'è avvenuto in questo caso, in un'inchiesta penale.
