
In poche parole, con la sentenza numero 3522 dell'11 febbraio 2011, la Corte di cassazione ha esteso anche alle liti fiscali alcuni, a sentire i difensori «onerosi» adempimenti, richiesti nelle cause civili.
La sezione tributaria ha dichiarato improcedibile il ricorso di un contribuente che contestava un accertamento Irpef, Iva Ilor, perché, hanno motivato gli Ermellini, non ha presentato al Palazzaccio (entro il termine imposto per il ricorso in Cassazione) la dichiarazione dei redditi, l'istanza di condono, l'avviso di accertamento e le controdeduzioni in appello.
Insomma, hanno spiegato i giudici, «al giudizio di cassazione in materia tributaria devono applicarsi le norme del codice di procedura civile, salvo che si tratti di norme inconciliabili con il sistema delle norme sul contenzioso tributario».
Questo perché, continua poi il Collegio di legittimità, nel contenzioso fiscale, «il fascicolo d'ufficio dei gradi di merito comprende anche le copie delle sentenze pronunziate e che, ciononostante (pure la sentenza è destinata a confluire tra gli atti del giudizio di cassazione con il fascicolo di ufficio dei gradi di merito) certamente non si dubita che, in applicazione dell'articolo 369 c.p.c. non si depositi copia autentica della sentenza impugnata».
Allora, secondo la Cassazione insieme a questo obbligo il contribuente deve anche depositare gli altri atti amministrativi anche in forma di «fotocopia». In altri termini tutti «i contratti», li chiama Piazza Cavour, su cui si fonda il ricorso, non devono essere depositati in originale, «giacché la copia, ha lo stesso valore ed efficacia probatoria dell'originale». È dunque nel sistema processuale tributario che si trova la chiave della piena conciliabilità «dell'onere in oggetto» e senza che possa riscontrarsi «una disciplina processuale eccessivamente gravosa per il contribuente». Infatti, l'allegazione di qualche documento nel ricorso non può essere considerato «un aggravio insopportabile».