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Tariffe dei commercialisti: cambiano davvero le regole?

del 19/03/2012

Tariffe dei commercialisti: cambiano davvero le regole?
Il decreto legge n. 1/2012, denominato “salva Italia”, emanato dal governo Monti il 24 gennaio 2012, ha introdotto importanti novità in tema di liberalizzazioni allo scopo di avviare sviluppo dell’economia e favorire la libera concorrenza nei mercati.
In particolare, per quanto attiene le libere professioni, l’articolo 9 del decreto ha stabilito l’abrogazione delle tariffe professionali regolate nel sistema ordinistico.
Al rispetto della nuova norma sono chiamati anche i commercialisti, giova ricordare che dal 1° gennaio 2008 gli ordini dei dottori commercialisti e dei ragionieri commercialisti sono confluiti in un unico ordine professionale. La tariffa professionale dei commercialisti previgente, venne approvata con decreto n. 169/2010 (in vigore dal 15 ottobre 2010).
Quali sono, nel merito, le novità introdotte dal decreto “salva Italia”?
Il comma 3 dell’articolo 9 del decreto legge, prevede che il compenso per le prestazioni professionali debba essere pattuito con il cliente al momento del conferimento dell’incarico e che la misura del compenso debba essere adeguata all’importanza dell’opera, in tal senso il cliente dovrà essere adeguatamente informato e reso edotto della complessità dell’incarico e circa gli oneri ipotizzabili per lo svolgimento dello stesso.
In buona sostanza il commercialista dovrà sempre fornire al cliente un adeguato preventivo; il decreto prevede che lo stesso debba essere messo per iscritto se richiesto dal cliente, il Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) ha suggerito ai propri iscritti di mettere sempre per iscritto i preventivi professionali.
Per il calcolo degli onorari, pertanto, il commercialista non potrà più fare richiamo alla tariffa professionale, in quanto abrogata. Ma cosa avveniva precedentemente al decreto “salva Italia”? 
Nella realtà quotidiana, anche prima del decreto legge, il ricorso alla tariffa professionale era assai limitato: per attività di natura ricorrente (quali la tenuta della contabilità o la redazione delle dichiarazioni dei redditi) il commercialista pattuiva con il cliente tariffe “in abbonamento” (annuale) ovvero forfetarie: infatti non è mai stato molto agevole la corretta individuazione delle tariffe in base all’attività effettuata, basta ricordare che l’attività di trasmissione telematica delle dichiarazioni fiscali, entrata in vigore dal 1998, è stata inserita nella tariffa professionale solo nel 2010.
E tali onorari sono sempre stati soggetti a revisione di comune accordo con il cliente, spesso anche al ribasso, ancor più per l’intervento della crisi economica in atto.
Il ricorso alle tariffe professionali, pertanto, si riconduceva e ben poche e circostanziate attività del commercialista: perizie e valutazioni, incarichi giudiziali, la partecipazione a collegi sindacali, il patrocinio tributario, attività spesso di natura straordinaria, solo di rado rivolti alla generalità della clientela ed ancor meno nei confronti della clientela privata non esercente attività d’impresa o di lavoro autonomo.
Cambierà il rapporto tra commercialista e cliente?
Il rapporto tra commercialista e proprio assistito è basato sulla fiducia, è arduo pensare che il cliente possa rivolgersi al professionista solo sulla base del prezzo. La nuova norma può realmente recare un miglioramento nel mercato della consulenza se e solo se le parti fondano il rapporto sulla chiarezza e la trasparenza.
Obiettivo non di facile attuazione, specialmente poiché – spesso – indipendentemente dalla volontà e disponibilità del professionista, le regole del gioco vengono modificate: è lo stesso legislatore che modifica le attività professionali e non proprio nel senso della semplificazione, purtroppo. Non sempre il professionista riesce a rendere edotto il cliente della complessità dell’attività da effettuare per suo conto, anche perché l’attività professionale è marcatamente segnata da individualità e specializzazione, per cui ciò che può essere semplice per un professionista non lo è necessariamente per un altro.
Nel rapporto di reciprocità tra professionista e cliente, l’importante è che l’obbligatorietà del preventivo non diventi un “nuovo” ed antipatico adempimento formale. La maggior parte delle attività degli studi dei commercialisti è rivolta verso attività di natura fiscale e tributaria, un’attività professionale che mantiene un elevato grado di standardizzazione: verificate le necessità del cliente è abbastanza semplice determinare che tipo di contabilità si è chiamati a tenere o quali quadri della dichiarazione dei redditi necessiti redigere. Ma ciò non può avvenire, per esempio, nel caso di una compravendita di un’attività commerciale, dove il commercialista è chiamato a mediare tra le posizioni delle parti in causa, con un dispendio di tempo e di risorse non facilmente rilevabile a priori.
Diventa fondamentale, da una parte, che il commercialista si abitui ad interagire più frequentemente con il cliente senza omettere, sopravalutare o sottovalutare le difficoltà dell’attività da svolgere; dall’altra parte è fondamentale che il cliente si renda parte attiva nell’attività che lo interessa, lasciando al passato la pessima abitudine di lasciar fare nella convinzione di avere delegato al professionista sia il problema quanto la soluzione dello stesso. 
La presentazione del preventivo al cliente, da sana e consolidata consuetudine diviene ora, quindi una regola: affinché non sia considerata solo una prassi antipatica è essenziale che i rapporti tra professionista e cliente siano improntati alla collaborazione in presenza di chiarezza e la trasparenza reciproche. Come dire: “patti chiari, amicizia lunga”.

Rag. Walter Flavio Camillo
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