
A richiamare nei giorni scorsi le similitudini tra la situazione attuale della Grecia e quella dell’Argentina sono stati in molti.
Esattamente 15 anni fa, si ricorda, furono l’intransigenza del Fondo Monetario Internazionale e la scelta del Ministro argentino Domingo Cavallo – soprattutto l’introduzione della parità fissa tra peso e dollaro – a far precipitare la situazione, portando prima al default e poi alla vittoria di ambienti minoritari della classe dirigente locale che posero fine al ‘Washington Consensus” e avviarono una politica economica di stampo post-keynesiano in rotta con i diktat degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, favorendo anche un processo di allontanamento di altri paesi dell’area rispetto all’egemonia statunitense e alla radicalizzazione dei progetti di integrazione regionale.
Sicuramente sono molto simili le disastrose conseguenze sociali provocate dai durissimi interventi imposti dalle ‘istituzioni economiche internazionali’ all’Argentina e ora dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale alla Grecia: disoccupazione alle stelle, taglio drastico di stipendi, pensioni e sussidi, abbattimento dello Stato sociale, della sanità, dell’istruzione pubblica, dell’assistenza sociale, la svendita del patrimonio pubblico e delle infrastrutture. Senza una rottura drastica con l’austerità, insegna la storia argentina, non è possibile bloccare il massacro sociale; ma senza rompere con il sistema che genera e impone l’austerità – cioè i meccanismi economici, ideologici e istituzionali all’interno dei quali i paesi sono diversamente ingabbiati – è impossibile bloccare l’austerità e condurre politiche espansive e progressiste, anche per un governo che pure si dice ‘anti-austerity’ come quello guidato da Alexis Tsipras.
Le vicissitudini infelici della Grecia devono ricordarci, ancora una volta, quanto già appreso sulla gestione di crisi economiche e debiti. Lezioni che avremmo dovuto imparare da esperienze precedenti. La prima è che non c'è alcuna possibilità di fare passi avanti verso il risanamento del debito, se prima non c'è una ripresa economica. Allo stesso tempo, non ci può essere una ripresa economica senza un ripristino della sostenibilità del debito.
Per certi versi la Grecia sta affrontando una situazione ancora più complessa rispetto all'Argentina. La crisi argentina, infatti, fu accompagnata da una forte svalutazione della moneta che rese il paese più competitivo e che, con la ristrutturazione del debito, creò le condizioni per una ripresa duratura. In Grecia, il default e la Grexit richiederebbero la re-implementazione della valuta domestica. Un conto è svalutare una valuta esistente, altra cosa è crearne una nuova nel bel mezzo di una crisi. Questo ulteriore elemento di incertezza non ha fatto altro che appesantire la pressione della Troika sul governo di Tsipras. Quando il debito non è sostenibile, è necessario ripartire da zero. È un principio basilare e universalmente riconosciuto. Finora, la Troika ha negato questa possibilità alla Grecia. Non ci può essere un nuovo inizio in un clima di austerità.
Se la Grecia alla fine lascia l’euro, non significa che i greci sono cattivi europei. Il problema del debito della Grecia significa creditori irresponsabili tanto quanto debitori irresponsabili, e in ogni caso i greci hanno pagato per i peccati del loro governo molte volte. Se non riescono a prosperare all’interno della moneta comune europea, è perché quella moneta comune non offre nessun aiuto ai paesi in difficoltà. La cosa importante ora è fare tutto il necessario per terminare l’emorragia. Non è un caso che, tra i tanti commenti e le congratulazioni inviate dai leader sudamericani al governo e al popolo greco ci sia quello della presidente dell’Argentina, Cristina Fernández de Kirchner, che ha celebrato il rifiuto opposto dai cittadini greci ai diktat della Troika e dell’Eurogruppo richiamando quanto avvenuto a Buenos Aires alcuni anni fa.