Ogni mamma o papà lo sa benissimo. Con la nascita di un figlio, il tempo a disposizione per se stessi svanisce d’incanto, sostituito inesorabilmente (e piacevolmente!) da quello dedicato alla sua crescita.
Soprattutto nei primissimi mesi, il neonato assorbe grandissime quantità di ore. È semplicemente un dato di fatto, dal quale ha deciso di partire una professionista che, vistasi contestare un discostamento del reddito dichiarato daglistudi di settore, ha deciso di fare appello arrivando fino alla Corte di Cassazione. Diciamolo subito: gli Estremi Giudici le hanno dato ragione.
La vicenda
La donna dopo la nascita del figlio aveva dedicato meno tempo alla propria professione e per questo motivo il suo reddito si presentava diverso da quanto previsto dagli studi di settore per il suo ambito lavorativo.
L'Agenzia delle Entrate aveva quindi deciso di effettuare un accertamento a suo carico, durante il quale la donna si era giustificata apportando come motivazione del mancato reddito le cure necessarie per il bambino, che avevano evidentemente sottratto tempo al lavoro.
Nonostante la lavoratrice avesse prodotto tutti i documenti per dimostrare la veridicità delle proprie affermazioni, l'Agenzia ha ritenuto di procedere. La donna aveva quindi deciso di ricorrere.
Dopo l'iter consono, il procedimento è giunto ai giudici della suprema corte che hanno respinto in forma definitiva la richiesta dell'Agenzia delle Entrate, riconoscendo quindi le giustificazioni della donna.
La sentenza è chiaramenteindividualee riguarda il singolo caso della professionista qui presentato, ma potrebbe fare da precedente per altri ricorsi a carico dell'Agenzia delle Entrate e rappresentare un ulteriore punto a discapito degli studi di settore, contro i quali in molti si sono negli anni schierati.
La mancata considerazione della situazione personale della professionista citata – che, inoltre, aveva aggiunto come ulteriore motivazione del mancato lavoro anche la malattia del marito – ben rappresenta un procedimento che non considera del tutto casi e situazioni personali, che possono quindi far discostare il reddito dichiarato da quanto previsto dagli studi stessi.
Ricordiamolo, come è giusto: gli studi di settore rappresentano un importante strumento contro l'evasione fiscale. Infatti i dati pubblicati ogni anno dall'Agenzia delle Entrate mostrano quanto, in molti casi, ciò che viene dichiarato si discosti notevolmente dal dato medio (si pensi ai casi in cuiredditi pari a zerosi rifanno a settori con numeri decisamente diversi).
Gli studi di settore, al tempo stesso, non costituiscono da soli una prova certa dell'evasione, che rimane quindi presunta (essa deve essere accertata attraverso altri strumenti, come le verifiche puntuali sulla singola attività lavorativa).
Diciamo, semplicemente, che si tratta didati indicativi. L’importante è non ritenerli veritieri al 100%, tanto da schiacciare situazioni personali come quelle della professionista citata.