
Nessuna scusante per gli impetuosi tentativi di riconquista amorosa: così la Suprema Corte, V Sezione Penale, con sentenza del 21 novembre 2013, n. 46446 , conferma i reati di sequestro di persona, tentata violenza sessuale e stalking
Corte di Cassazione, sez. V
penale, sentenza 25 ottobre 21 novembre 2013, n. 46446
Presidente
Lombardi - Relatore Settembre
Ritenuto in fatto
1. La
Corte d'appello di Bologna, con sentenza del 22/5/2102, in parziale
riforma di quella emessa dal Tribunale di Rimini, ha condannato B.M.
a pena di giustizia per sequestro di persona (605 cod. pen),
tentativo di violenza sessuale (artt. 56 e 609 cod. pen.) e atti
persecutori (art. 612/bis cod. pen.) in danno di U.S. .
L'accusa
mossa all'imputato è quella di avere, da febbraio al maggio del
2009, seguito, pedinato, ingiuriato, diffamato, minacciato e usato
violenza nei confronti della ex fidanzata con lo scopo di
costringerla a riallacciare la relazione che aveva avuto con lui e di
avere, in una occasione, il (omissis), tentato di baciarla contro la
sua volontà, dopo essersi introdotto abusivamente nell'autovettura
della donna ed averle impedito di allontanarsi per circa un quarto
d'ora.
2. Contro la sentenza suddetta ha proposto personalmente
ricorso per Cassazione l'imputato dolendosi:
- della inosservanza
dell'art. 612/bis cod. pen., per essere stata affermata la sua
responsabilità per il reato previsto da detto articolo in assenza
delle condizioni richieste dalla norma. Lamenta, in particolare, che
l'istruttoria non abbia fornito la prova di uno stato di ansia o
paura ingenerato nella persona offesa, ovvero di timore per
l'incolumità propria o dei familiari, ovvero ancora di cambiamento
delle abitudini di vita per effetto del comportamento da lui tenuto.
Si duole, in punto di prova, del fatto che sia stata attribuita
credibilità alla persona offesa nonostante te vistose incongruenze
del suo racconto e l'esistenza di dati probatori deponenti in senso
contrario, tra cui i numerosissimi messaggi inviati e telefonate a
lui fatte dalla donna nel periodo in considerazione e le diverse
dichiarazioni rese dai testimoni introdotti dalla difesa;
- della
contraddittorietà e illogicità della motivazione resa in ordine al
sequestro di persona. Lamenta che i giudici di merito abbiano
dilatato al massimo la durata dell'episodio e non abbiano tenuto
conto del contesto dei rapporti esistenti, nell'aprile del 2009, tra
le parti, caratterizzati da ricerche e ripulse, che dovrebbero
portare a valutare diversamente la sua condotta, motivata soltanto
dal desiderio di ottenere dalla ex-fidanzata il nuovo numero di
telefono e un bacio;
- violazione dell'art. 609/bis in relazione
all'episodio di violenza sessuale. Si duole, riguardo, che sia stata
attribuita valenza sessuale ad un tentativo di bacio che era soltanto
la rappresentazione melodrammatica o cinematografica di un
sentimento, tant'è che è stato assolto per un analogo episodio
posto in essere nel 2008.
Considerato in diritto
Il
ricorso è infondato.
1. Sebbene denunzi, in relazione al reato
di "atti persecutori", violazione di legge, in realtà il
ricorrente si duole della credibilità attribuita alla persona offesa
e della lettura complessiva, da parte del giudicante, della vicenda
portata al suo esame, posto che in sentenza è chiaramente
argomentato l'effetto che il comportamento dell'imputato ebbe sulla
persona offesa: quello di indurla in uno stato di ansia e di timore
per la propria incolumità fisica, fino al punto da costringerla a
diradare le proprie uscite serali e a farsi accompagnare a casa da
amici e conoscenti, quando, la sera, usciva dal lavoro. Risulta
certamente integrato, pertanto, l'elemento oggettivo del reato, per
cui nessuna violazione di legge può dirsi consumata.
Peraltro,
nemmeno il vizio di motivazione, pure argomentato dal ricorrente, è
sussistente, dal momento che le dichiarazioni della donna sono state
attentamente vagliate dai giudicante e confrontate con le altre
risultanze istruttorie, senza che le dichiarazioni in questione
ricevessero smentita; anzi ricevendo conferma nella loro integralità.
Sul punto, basti rilevare che la Corte d'appello ha dedicato ben
quattro pagine (da pag. 12 a pag. 15) alla valutazione della
credibilità della U. e che lo ha fatto tenendo conto della totalità
degli elementi probatori acquisiti al processo, con criteri di logica
e di adesione al senso comune, per cui le critiche all'apparato
motivazionale della sentenza sono, sotto il profilo in esame,
totalmente infondate.
In realtà, il nodo del processo è
rappresentato, più che dalla credibilità di parti e testimoni
(ognuno dei quali ha rappresentato i fatti dal suo angolo
d'osservazione), dalla interpretazione e dalla qualificazione dei
comportamenti tenuti dai protagonisti di questa vicenda, di cui la
Corte d'appello non ha mancato di rilevare, per entrambi, la
singolarità e la problematicità, seppur ritenendo di poter
giungere, infine, ad un approdo favorevole alla tesi dell'accusa. E
ciò ha fatto con argomenti di intrinseca ragionevolezza e forte
logicità, idonei a spiegare sia l'anomalia del comportamento della
U. che la qualificazione data a quello del B. . La Corte, infatti,
premesso che la contestazione di "atti persecutori"
riguarda il periodo di marzo-maggio 2009, ha conseguentemente escluso
che le vicende del periodo pregresso avessero rilevanza ai fini che
qui interessano (quindi, ha escluso che avessero rilevanza le
numerosissime telefonate e i numerosissimi SMS scambiati tra le parti
nei mesi di gennaio e febbraio 2009, su cui la difesa dell'imputato
ha, invece, fatto affidamento) e che fossero significative, in
funzione difensiva, le dichiarazioni di S. e O. , giacchè il primo,
parlando di telefonate ossessive fatte dalla U. al B. , si era
riferito al periodo di gennaio-febbraio 2009, mentre il secondo aveva
lavorato insieme al B. fino a marzo 2009, per cui anche le conoscenze
di quest'ultimo si riferivano, per la massima parte, ad un periodo
estraneo alla contestazione. Dipoi ha considerato gli scambi
telefonici avvenuti tra marzo e maggio 2009, rilevando una
significativa diminuzione delle chiamate (telefonate e SMS)
provenienti dalla U. , e ha esaminato il contenuto delle numerose
testimonianze assunte, evidenziando che tutte rimandavano alla forte
preoccupazione insorta nella donna per il comportamento dell'uomo
(dopo la decisione di separarsi da lui), che la cercava, seguiva,
pedinava, ingiuriava, diffamava (persino con scritture murali) e, in
una occasione, non esitò a tagliare la strada all'auto su cui
viaggiava insieme ad un collega di lavoro (Ba. ). Nè in precedenza
aveva disdegnato di colpirla con uno schiaffo, fino a procurargli la
lesione del timpano, a conferma dell'inclinazione dell'uomo verso
atteggiamenti violenti (anche contro se stesso). Si tratta di
comportamenti che a ragione sono stati ritenuti persecutori dalla
Corte di merito, siccome ingiustificati persino in una relazione
burrascosa (com'è stata ritenuta quella tra B. e U. ) e persino in
una relazione caratterizzata dall'indecisione e dall'ambiguità di
comportamenti della persona offesa, che era (o era stata)
evidentemente interessata al mantenimento di un rapporto sentimentale
col suo persecutore, ma si era poi resa conto del vicolo stretto in
cui si era cacciata ed aveva maturato, non importa per quale motivo
(per la violenza dell'uomo o per la sterilità del loro rapporto, ma
certamente con la sofferenza testimoniata dall'indecisione), la
risoluzione di interrompere la relazione. Tale interpretazione della
norma va condivisa, giacchè scopo della stessa è la tutela della
persona nelle normali e quotidiane relazioni intersoggettive, a
salvaguardia della sua personalità, cosicchè atti ripetuti, idonei
ad incidere gravemente sulla libertà di autodeterminazione della
persona e a compromettere durevolmente il suo equilibrio psichico,
fino ad ingenerare timori per la propria incolumità, integrano la
fattispecie criminosa contestata. Tanto deve affermarsi anche nel
caso gli atti persecutori siano favoriti dall'atteggiamento equivoco
della vittima, che, pur quando è avviluppata in un coacervo di
pensieri e di sentimenti (talvolta indotti dallo stesso persecutore),
ha diritto alla tutela apprestata dalla norma, giacchè il rispetto
della personalità individuale e della libertà morale della persona
esigono che "l'altro" non approfitti della debolezza
caratteriale, o degli stati di momentaneo o perdurante
disorientamento cognitivo o affettivo, per indurre nella vittima, con
metodi assillanti e violenti, stati di ansia e di timore funzionali
al conseguimento dei suoi obbiettivi.
2. Infondate sono anche le
critiche all'apparato motivazionale della decisione in punto di
sequestro di persona. Anche ritenendo, come fa il ricorrente, che
l'introduzione abusiva nell'abitacolo dell'autovettura sia durata
molto meno di quello che è apparso alla U. , e che la compromissione
della libertà di movimento di quest'ultima abbia avuto durata
decisamente inferiore, resta il fatto che per un tempo apprezzabile
la donna è stata privata della propria libertà, per cui tutte le
disquisizioni sul tempo di permanenza del B. nell'autovettura e sulla
percezione del tempo da parte della donna si rivelano ininfluenti
nella valutazione della condotta. Sterili, invece, sono le
disquisizioni sulla credibilità della donna, posto che lo stesso
ricorrente non nega l'episodio e si limita a dargli una personale
spiegazione (il desiderio di procurarsi il numero telefonico della
donna e dargli un bacio). Ma si tratta di spiegazione che non elide
l'antigiuridicità della condotta, poichè non rilevano i motivi
dell'intrusione nell'autovettura e della costrizione operata in danno
della vittima, in quanto il sequestro di persona è integrato dal
dolo generico, consistente nella volontà cosciente e libera di
privare il soggetto passivo della libertà personale (Cass.,
7/3/2012, n. 14802; Cass., sez. V, 25/6/1987, Bruno; Cass.,
16/2/1989, Ciarella). Volontà che, nella specie, non viene nemmeno
contestata.
Nè assume rilevanza il "contesto" in cui
la privazione è avvenuta, posto che non sono i rapporti
interpersonali a rendere lecito un comportamento che si traduce in
obbiettiva limitazione della libertà di movimento della persona.
3.
Del tutto infondate sono, infine, le critiche concernenti il reato di
cui all'art. 609/bis cod. penale. Per "atti sessuali" vanno
intesi, infatti, tutti quegli atti che coinvolgono zone del corpo
che, in base alla scienza medica, psicologica e antropologica, sono
considerate erogenee, ovvero tali da dimostrare l'istinto sessuale
(Cass., 21/1/2000, Alessandrini; Cass., 10/10/2000, Gerardi). E non
v'è dubbio che il bacio sulla bocca sia una delle principali
manifestazioni dell'istinto sessuale, a nulla rilevando che, per le
particolari condizioni in cui sia dato o scambiato, si riveli
inidoneo ad eccitare l'istinto suddetto. Quanto all'elemento
soggettivo (a cui sembra alludere il ricorrente con le sue
riflessioni), esso è integrato dal dolo generico, consistente nella
coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della
libertà sessuale della vittima non consenziente, mentre è
irrilevante l'eventuale fine ulteriore (di concupiscenza, ludico o
d'umiliazione) che ha spinto l'agente a commettere il reato (Cass.,
9/5/2008, n. 28815). Irrilevante è, pertanto, nella specie, il
motivo da cui B. è stato mosso, giacchè anche la speranza di
"riconquistare" la donna, o l'intenzione di dare un saggio
del proprio "ardore", riconduce alla fattispecie delittuosa
in commento.
Il ricorso va pertanto rigettato, con conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.