All’avvicinarsi del termine per la redazione del modello
Unico 2013 torna prepotentemente alla ribalta, come ogni anno, il problema di
chi sia obbligato a pagare l’odiata IRAP, soprattutto se il presunto debitore è
un lavoratore autonomo, nella fattispecie un professionista.
Introdotta con il
D.Lgs. n. 446/1997, in linea generale l’IRAP è dovuta da tutti quei soggetti
(siano essi persone fisiche ovvero giuridiche) che esercitano un’attività organizzata
per la produzione di beni o servizi.
Punto qualificante della disciplina in
parola è la considerazione che l’imposta vada applicata unicamente se sussiste,
in capo al contribuente, il requisito dell’autonoma organizzazione.
La stessa
Cassazione, con sentenza n. 156 del 10 maggio 2001, ha affermato che
nell’ipotesi di un’attività “svolta in assenza di elementi di organizzazione
[…] risulterà mancante il presupposto stesso dell’imposta sulle attività
produttive […], con la conseguente inapplicabilità dell’imposta stessa”.
Parimenti, l’Amministrazione Finanziaria ha chiarito, con Circolare n.
141/1998, che qualsiasi attività produttiva di reddito di lavoro autonomo,
esercitata senza un’autonoma organizzazione, è da considerarsi non soggetta ad IRAP.
Ma se la situazione è quella poc’anzi esposta, i professionisti sono
tenuti al pagamento dell’imposta? Purtroppo non è possibile rispondere in
maniera univoca, perché a tutt’oggi non si è venuta a creare una prassi
amministrativa che permetta di dirimere la questione in via definitiva.
Sulla
base delle molteplici sentenze che si sono rincorse nel tempo, si può
sostanzialmente affermare che il presupposto dell’imposta ricorre certamente
quando: 1. il contribuente è responsabile dell’organizzazione e quindi, di
converso, non risulti inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui
responsabilità ed interesse; 2. nell’ipotesi in cui il medesimo contribuente
utilizzi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio
dell’attività (pur in assenza di organizzazione), oppure si avvalga in modo non
occasionale di lavoro altrui.
Da ciò è discesa una copiosa giurisprudenza che,
tanto per citare degli esempi, ha escluso l’applicazione dell’IRAP per un
avvocato che lavori presso terzi; per il professionista che svolga l’attività
nella propria abitazione servendosi di beni modesti (fax, computer, libreria,
autovettura); per l’amministratore e/o sindaco di società che non si avvalga di
un’autonoma organizzazione; per il medico convenzionato con il SSN,
indipendentemente dalla complessità e dal costo degli strumenti di diagnosi, se
questi sono indispensabili per l’esercizio dell’attività; per un cantante che
si avvalga del proprio agente teatrale. Al contrario, la presenza di una
segretaria, di servizi affidati in outsourcing (come telefonia e segretariato),
l’ausilio di apprendisti ovvero di lavoratori, anche part-time, è stata spesso
considerata indice di autonoma organizzazione e quindi presupposto per la
tassazione IRAP.
Tuttavia, nonostante l’affastellarsi della giurisprudenza, non
è ancora stata scritta la parola “fine” all’odissea dell’IRAP per i
professionisti. Infatti, in una recentissima pronuncia della Commissione
Tributaria regionale del Lazio dell’aprile scorso, è stato affermato che per alcuni
professionisti (quali l’avvocato, il notaio o l’ingegnere) la prestazione
fornita dagli stessi non può prescindere dall’intervento personale del
professionista, per cui qualsiasi forma di organizzazione presente,
indipendentemente dalla dimensione, non potrà mai considerarsi “autonoma”, poiché
non potrebbe comunque funzionare senza l’apporto del titolare.
Pertanto, mancando il presupposto su cui si basa l’IRAP, l’imposta non sarebbe mai dovuta dalle citate categorie di professionisti. Si attende ora la prossima puntata di questa infinita telenovela …