
Un lavoratore veniva licenziato per giusta causa dopo che
per ben 42 giorni, nell’arco di tre mesi, si era reso colpevole del mancato
rispetto dell’orario di lavoro. Impugnato il licenziamento, deduceva di essere
stato totalmente demansionato per circa due anni, privato di ogni attività
lavorativa.
Il Tribunale di Roma, in primo grado, confermava il licenziamento,
condannando il datore di lavoro al solo risarcimento del danno da dequalificazione
professionale. In appello e poi in Cassazione il licenziamento veniva invece
dichiarato illegittimo.
La Suprema Corte (sent. 1693/13), infatti, seguendo un
consolidato orientamento, ha ricordato che il rifiuto di svolgere la
prestazione lavorativa può essere legittimo se conforme a buona fede e
proporzionato all’illegittimo comportamento del datore, configurando eccezione
di inadempimento ex art. 1460 c.c.
La società non solo si era resa per prima inadempiente, impedendo al lavoratore di svolgere le mansioni, ma aveva tollerato per tre mesi le violazioni dell’orario lavorativo prima di adottare il provvedimento espulsivo: conferma ulteriore del venir meno dell’interesse aziendale alle prestazioni e della scarsa gravità dell’inadempimento del lavoratore, come tale non idoneo a giustificare la massima sanzione disciplinare.