
L'apertura di credito (comunemente chiamata "fido")
è, come noto, quel contratto con il quale la banca si obbliga a tenere a
disposizione del cliente una determinata somma di denaro, che l'accreditato, solitamente
nel contesto di un rapporto di conto corrente, può utilizzare in più volte e
più volte e ripristinare attraverso successivi prelevamenti e versamenti.
Se il
contratto ha un termine, la banca non può recedervi prima della scadenza, se
non per giusta causa e non senza aver concesso un termine di almeno 15 giorni
per la restituzione delle somme utilizzate e dei relativi interessi (art. 1845
cod. civ.).
Se, come comunemente accade, il contratto è a tempo indeterminato,
la banca può recedere in qualsiasi momento, applicando il preavviso stabilito
dal contratto (art. 1845 cod. civ., ult. comma), che è quasi sempre di un solo
giorno.
E' di tutta evidenza che l'imprenditore che si trovi, nel breve volgere
di un giorno, a dover restituire somme spesso considerevoli e i relativi
(salati) interessi moratori, può trovarsi, in seguito al recesso di una banca,
in seria difficoltà! Non sempre, tuttavia, il comportamento della banca, che pure
ricalchi la disciplina codicistica sopra descritta, può essere considerato
legittimo.
Recenti pronunce della Corte di Cassazione, infatti, hanno sancito
l'illegittimità della revoca laddove questa abbia, nel suo concreto esplicarsi,
i caratteri dell'arbitrarietà e della imprevedibilità.
Tali caratteri sarebbero
rinvenibili, sempre secondo la sentenza menzionata, quando la revoca del fido
contrasti "con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai comportamenti
usualmente tenuti dalla banca ed all'assoluta normalità commerciale dei
rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista
creditizia per il tempo previsto, e non potrebbe perciò pretendersi sia pronto
in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate, se non a patto
di svuotare le ragioni stesse per le quali un'apertura di credito viene
normalmente convenuta". Sono stati condotti, sulla scorta di tale
precedente, alcuni giudizi per conto di imprese, con esiti, anche risarcitori,
apprezzabili.
Per conseguire l'effetto sperato, devono ricorrere i presupposti
concreti dell'arbitrarietà e dell'imprevedibilità, come si va ad illustrare nel
punto che segue.
E' vero che la banca ha la facoltà di recedere in qualsiasi
momento dall'apertura di credito a tempo indeterminato, ma altro è l'esercizio
del diritto, altro è l'abuso del diritto.
Vi è abuso, laddove possano essere dimostrati i seguenti
dati: la sostanziale continuità nella situazione economico-finanziaria
dell'impresa finanziata (per es., se il conto corrente di riferimento, nel
periodo precedente la revoca, rechi un andamento in dare e in avere del tutto
analogo a quello relativo al periodo anteriore, e magari abbia interessanti
movimenti in avere; se le altre banche, nello stesso periodo, non abbiano
revocati i loro fidi concessi alla stessa impresa, e magari neppure dopo la
revoca del fido in oggetto, ecc.); vitalità finanziaria dell'impresa
(allegazione di una fatturazione non in diminuzione, del giro di affari, della
solvibilità, ecc.); l'assenza di sintomi patologici (inadempimenti, decreti
ingiuntivi, protesti, pignoramenti, ecc.).
La crisi attuale ha indotto le banche a modificare i criteri
di attribuzione del rating ai propri clienti, i quali, a fronte di un
comportamento assolutamente identico a quello degli anni precedenti nella
gestione del conto, si vedono ridurre o addirittura revocare i fidi, con
richiesta di rientro immediata, con minaccia di passare la posizione a
sofferenza in CR Banca d'Italia.
L'ulteriore danno per il correntista risiede nella
conseguente e automatica revoca dei fidi da parte di tutte le banche con le
quali l'imprenditore lavora. Se non adeguatamente affrontata, questa è una
situazione che porta inevitabilmente al fallimento dell'impresa e alla perdita
delle proprietà sia aziendali che personali.
E' principio di diritto comunitario che la banca compie un
illecito quando, senza avere dato alcun avvertimento o preavviso, chiude il
credito che aveva fino a quel momento accordato al cliente. Il cliente
ovviamente non ha diritto ad ottenere credito a tempo indeterminato, né la
banca può considerarsi responsabile esclusivamente per il fatto della chiusura
del credito.
Ma sussistendo una serie di comportamenti della banca tali da
indurre il cliente a ritenere che gli sia stato accordato credito con una certa
stabilità la banca sarà responsabile per avere "rotto" il rapporto
contrattuale (Vasseur, 1981, 66), avendo determinato per l'impresa accreditata
un pregiudizio effettivo ed in particolare il suo momentaneo
"strangolamento", costringendola improvvisamente - con un recesso ad
nutum - a ricercare altrove la liquidità necessaria a sopravvivere (ed a
coprire il debito conseguente alla stessa revoca "brutale").
Tale
principio è stato peraltro recepito dalla dottrina italiana, la quale ha
ipotizzato la responsabilità della banca che interrompa inopinatamente la
concessione di fido, attraverso l'applicazione dei principi di correttezza e
buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.).
Così anche la giurisprudenza in un caso pratico: "Non
può non convenirsi che il caso (…) è insorto soltanto per l'inatteso
comportamento dell'I.c.c.r.i. che dopo avere elargito credito più di ogni
altro, ha ritenuto suo interesse revocare in un unico contesto, tale credito,
esigendo l'immediato rientro del credito erogato" (Tribunale Roma
28.12.83, FI 1984, I, 1986).
Ancora si riconosce, in una più articolata decisione, che il
diritto della banca di recedere dall'apertura di credito è legittimo, ma deve
essere valutato attraverso l'applicazione dei principi di cui agli artt. 1175 e
1375 c.c. (Pretura Torino 31.12.88-2.1.89, BBTC, 1990, II, 805).
Più recentemente la Cassazione: "Resta pur sempre da
rispettare il fondamentale principio dell'esecuzione dei contratti secondo
buona fede (art. 1375 c.c.), alla stregua del quale non può escludersi che,
anche se pattiziamente consentito, in difetto di giusta causa il recesso di una
banca dal rapporto di apertura di credito sia da considerare illegittimo, ove
in concreto esso assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari"
(Cass. 21.5.97, n. 4538, BBTC, 1997, II, 648).
Illegittimità ed arbitrio vi sarebbero quindi allorchè si riscontrasse la carenza del presupposto di correttezza e buona fede nella revoca "brutale" e tale da porre il cliente in una imprevista oggettiva situazione di grave difficoltà. La gestione della revoca da parte del correntista deve all’inizio essere collaborativa.