
Le imprese devono conquistare e mantenere nel tempo la
fiducia dei propri interlocutori, tra cui gli istituti di credito. Retaggi del
passato, come la «parola data» dell’amministratore-proprietario e la serietà
della persona, pur costituendo elementi base per la valutazione dell’impresa,
non sono più sufficienti per instaurare un buon rapporto con gli istituti di
credito.
Nelle piccole e medie imprese deve ancora crescere la sensibilità
verso la comunicazione economico-finanziaria, spesso posta in secondo piano
rispetto agli adempimenti fiscali.
Si pensi ad un imprenditore che richiede ad
una banca un mutuo a medio/lungo termine per finanziare la realizzazione di un
fabbricato industriale.
La banca, attraverso il bilancio, valuta due aspetti:
l’ammontare di “cassa” che è stata in grado di creare l’impresa con la propria
attività, denominata cash flow o autofinanziamento (dato dall’utile
incrementato dai costi che non determinano esborsi finanziari, come gli
ammortamenti), e la solidità patrimoniale dell’impresa stessa, attraverso il
calcolo dell’indipendenza finanziaria (rapporto tra patrimonio netto e totale
dello stato patrimoniale).
L’impresa deve riuscire a produrre un ammontare di
denaro che la metta in condizione di restituire il capitale e corrispondere gli
interessi, onorando gli obblighi del mutuo.
La produzione di un ammontare di
liquidità adeguato, risultante dall’ultimo bilancio, non significa che una
simile situazione si presenterà anche in futuro: basti pensare al calo di
fatturato subito da numerose imprese a seguito della crisi.
Ecco perché i
finanziatori valutano l’andamento economico-finanziario prospettico ma anche la
solidità patrimoniale, cioè l’ammontare di patrimonio netto a garanzia di terzi
nel caso in cui l’impresa si trovasse in futuro finanziariamente
impossibilitata a far fronte all’impegno assunto.
E’ quindi fondamentale che gli imprenditori, con l’aiuto del proprio commercialista, verifichino l’adeguatezza degli indicatori economici, finanziari e patrimoniali.