Consulenza o Preventivo Gratuito

La comunione si è sciolta? L'azienda non evita confisca

del 30/11/2010
di: Debora Alberici
La comunione si è sciolta? L'azienda non evita confisca
Soggetta a confisca l'azienda di famiglia anche dopo lo scioglimento della comunione fra coniugi.

Lo ha stabilito la Suprema corte di cassazione che, con la sentenza numero 42182 depositata il 29 novembre 2010, ha confermato la misura su un immobile (un terreno e un opificio), di proprietà di un imprenditore, che era inizialmente caduto in comunione con la moglie. Poi i due avevano chiesto lo scioglimento.

Qualche anno più tardi erano scattate le accuse penali nei confronti di lui e quindi la misura restrittiva. A questo punto la donna, impugnando lo scioglimento della comunione sul bene, rivendicava la metà del terreno e dell'opificio. Ma il gip del Tribunale di Potenza ha respinto l'istanza. Così lei ha fatto ricorso in Cassazione. La terza sezione penale della Suprema corte lo ha respinto chiarendo alcuni punti importanti di questa complessa disciplina. In particolare in sentenza si legge che «in regime di comunione legale tra coniugi, lo scioglimento della comunione de residuo ex art. 178 c.c. implica necessariamente che il bene che residui al momento della richiesta di scioglimento non faccia più parte dei beni strumentali all'esercizio dell'impresa e non venga più utilizzato a tale scopo, venendo altrimenti violata, mediante una cessazione fittizia o meramente formale della comunione, la ratio dell'istituto, con la conseguenza che è legittima la confisca del bene in comunione de residuo nella sua interezza qualora esso, anche dopo la cessazione della comunione, conservi la destinazione dell'esercizio all'impresa allorché è stato commesso il reato per il quale è stata disposta la misura cautelare».

Ma non basta. Secondo gli Ermellini vanno salvaguardate, in questi casi, le pretese dei creditori dell'azienda. «La funzione dell'istituto», si legge sul punto in sentenza, «è altresì quella di garantire i creditori dell'impresa che, normalmente, fanno affidamento anche sulla consistenza dei beni strumentali allo svolgimento dell'attività aziendale per valutarne l'affidabilità e che, pertanto, possono aggredire integralmente i beni, acquistati dal coniuge imprenditore e destinati all'esercizio dell'impresa, per il soddisfacimento delle loro pretese».

Anche la Procura generale della Cassazione nella requisitoria scritta presentata al Collegio lo scorso 10 novembre ha chiesto l'inammissibilità del ricorso della moglie.

vota