È quanto emerge dalla sentenza della corte di giustizia Ue resa il 1° luglio 2010 nel procedimento C-35/09, promosso dalla cassazione italiana nell'ambito di una controversia fra l'amministrazione finanziaria e un notaio. La normativa italiana sottoposta al giudizio della Corte Ue stabilisce che l'imposta di registro si applica agli atti soggetti a registrazione e a quelli volontariamente presentati per la registrazione; gli atti di aumento di capitale sono soggetti alla registrazione, in seguito all'omologazione, e a un'imposta dell'1% (dall'1/1/2000 è dovuta l'imposta fissa). Trattandosi di imposta d'atto, è irrilevante che il conferimento sia o meno avvenuto; inoltre, la nullità o l'annullabilità dell'atto non dispensano dall'obbligo di pagare l'imposta, che potrà essere restituita solo a seguito del passaggio in giudicato della sentenza civile che dichiara la nullità o annulli l'atto, per causa non imputabile alle parti.
La Corte ha dichiarato, in proposito, che la normativa comunitaria non vieta di qualificare la registrazione dell'atto di aumento del capitale come l'elemento che determina il fatto generatore dell'imposta sui conferimenti, purché sia mantenuta la connessione fra la riscossione dell'imposta e il conferimento effettivo dei beni. Se dunque al momento del rogito il conferimento non è ancora stato operato e non è certo che avverrà, lo stato non potrà richiedere il pagamento dell'imposta finché il conferimento non divenga certo. Contrasta inoltre con il principio di effettività la normativa nazionale che limita, davanti al giudice tributario, i mezzi di prova dell'assenza del conferimento alla presentazione di una sentenza civile passata in giudicato che dichiara la nullità o annulla l'atto registrato. La direttiva non impedisce, invece, allo stato membro di prevedere la responsabilità solidale del notaio rogante, purché questi disponga dell'azione di regresso nei confronti della società conferitaria.