
Per il tribunale, la reiterata sospensione della possibilità di negoziare, anche solo in ordine agli incrementi retributivi, determina, a conti fatti, «un'anomala interruzione» dell'efficacia delle disposizioni richiamate al testo del dlgs n. 165/2001 in materia di contrattazione collettiva. Interruzione qui determinata dalla particolare posizione dello stato nella veste di datore di lavoro. A maggior ragione, tale blocco interviene in un regime normativo nel quale la retribuzione è determinata tramite accordi di categoria e, quindi, fa cadere il rispetto del principio costituzionale tra proporzionalità del lavoro svolto e la sua remunerazione. In pratica, l'inibizione prolungata degli adeguamenti dei trattamenti retributivi dei pubblici dipendenti, solleva una violazione del principio di proporzionalità e sufficienza della retribuzione. Inoltre, il reiterato blocco solleva ulteriori dubbi per violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza e solidarietà sociale, previsti dagli articoli 2 e 3 della Costituzione. Il ragionamento del Tribunale, in pratica, è in questi termini: se il governo ha la necessità di emanare disposizioni di contenimento della spesa pubblica, a causa dell'eccezionale crisi economica che rischia di inglobare il nostro Paese, deve accollare tale onere su tutta la collettività, non solo su di una parte di essi, nel caso particolare i dipendenti pubblici.
Grande soddisfazione è stata espressa dal segretario generale della Flp, Marco Carlomagno: «È stato riconosciuto un fondamentale diritto e cioè che i sacrifici della crisi economica non possono essere addossati sui soli pubblici dipendenti. Adesso speriamo in una «ispirata» decisione della Corte costituzionale».