
L'uomo ha incassato una doppia condanna in sede di merito e ha poi fatto ricorso in Cassazione rivendicando l'errata qualificazione del capo di imputazione, la truffa aggravata. I Supremi giudici hanno però confermato l'intero impianto accusatorio e disatteso la linea difensiva. Sul punto hanno, infatti, precisato che nella valutazione della fattispecie concreta è rimesso al giudice di merito stabilire se la condotta che si è risolta in una falsa dichiarazione, per il contesto in cui è stata formulata, e avuto riguardo allo specifico quadro normativo di riferimento nella cui cornice il fatto si è realizzato, integri l'artificio di cui all'art. 640 bis c.p. e se da esso sia poi derivata l'induzione in errore di chi è chiamato a provvedere sulla richiesta di erogazione.
Per la Cassazione, la Corte d'appello pugliese ha ampiamente e logicamente motivato sia in relazione agli artifici e all'induzione in errore, che in relazione alla pretesa inoffensività della condotta e contro tali valutazioni, dal motivo in esame, vengono formulate non già precise contestazioni di illogicità argomentativa, ma solo doglianze di merito. Insomma la Suprema corte non condivide le conclusioni dell'imprenditore secondo cui si chiedeva, in sostanza, una nuova valutazione delle prove.