Secondo l'amministrazione non era stato provato che questi viaggi avrebbero accresciuto il prestigio dell'impresa. Avallando questa interpretazione il collegio ha, infatti, chiarito che rientrano tra le spese di rappresentanza i costi sostenuti per accrescere il prestigio della società senza dar luogo a una aspettativa di incremento delle vendite, mentre ne restano escluse quelle di pubblicità e propaganda aventi come scopo preminente quello di informare i consumatori circa l'esistenza di beni e servizi prodotti dall'impresa. Quindi, i pranzi o viaggi offerti ai clienti non costituiscono spese di rappresentanza.
Sul fronte crediti riconosciuti nell'ambito della procedura di revocatoria fallimentare la Cassazione ha invece ribadito che dalla complessiva prescrizione dell'art. 75 del Tuir si desume che, anche per le spese e gli altri componenti negativi di cui non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare, il legislatore considera come esercizio di competenza quello nel quale nasce e si forma il titolo giuridico che costituisce la fonte di ciascuna di tali voci, limitandosi soltanto a prevedere una deroga al principio della competenza, col consentire la deducibilità di dette particolari spese e componenti nel diverso esercizio nel quale si raggiunge la certezza della loro esistenza ovvero la determinabilità, in modo obiettivo, del relativo ammontare.
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