«In tema di condominio negli edifici, il divieto, sancito dall'art. 1122 cod. civ., di eseguire, nelle porzioni di proprietà individuale, opere che rechino danno alle parti comuni dell'edificio, comporta», ha detto la Cassazione (sent. n. 3123/12, inedita), «una limitazione di fonte legale intrinseca alle singole unità immobiliari, assimilabile a un'obbligazione propter rem, cui corrisponde, dal lato attivo, una situazione giuridica soggettiva che non ha natura di diritto reale di godimento su cosa altrui; ne consegue che non occorre che la domanda diretta a ottenere la tutela venga trascritta, agli effetti indicati dall'art. 2653 cod. civ.». Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la Suprema corte ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva escluso la necessità della trascrizione della domanda giudiziale di riduzione in pristino di un'unità abitativa realizzata in uno spazio di proprietà comune, ai fini dell'opponibilità della pronunciata sentenza all'avente causa dell'originario convenuto.
a cura
dell'Ufficio legale della Confedilizia