Nel caso specifico la vicenda si colloca nel quadro di un divorzio molto conflittuale: difficilissimi i rapporti tra la madre e le figlie, con un fallimento dei tradizionali tentativi di riavvicinamento anche attraverso i servizi sociali. Nei casi più problematici si organizzano incontri nei cosiddetti luoghi neutri e cioè presso strutture dei servizi sociali, con o senza l'osservazione di un educatore e, comunque, sotto la supervisione di un assistente sociale. Nel caso in esame niente da fare, anche perché la mamma a un certo punto è emigrata in Francia e anche perché, stando alle relazioni dei servizi sociali, le figlie, collocate in una comunità, rifiutano la stessa presenza fisica della madre.
Al tribunale, allora, il compito di trovare altre soluzioni per favorire una graduale ripresa dei rapporto tra madre e figlie.
I giudici, a questo punto, hanno sfruttato la disponibilità dei genitori a pervenire a un accordo complessivo di divorzio comprendente una diversa modalità di frequentazione: il padre avrebbe ripreso con sé le figlie e non si sarebbe opposto a una graduale ripresa dei rapporti tra le figlie e la madre.
E qui il tribunale innesta la decisione sul collegamento a distanza nella disciplina europea sulla tutela della bi-genitorialità: secondo la Cedu (Corte europea dei diritti dell'uomo) lo stato deve dotarsi di strumenti giuridici adeguati ed efficaci per garantire i diritti delle persone interessate e il rispetto delle decisioni dei tribunali.
Applicato al caso in commento il principio significa che lo stato non può limitarsi a controllare che il bambino possa incontrare il suo genitore o avere contatti con lui oppure constatare l'inefficienza dei servizi sociali. Lo stato deve preoccuparsi del risultato che bisogna ottenere. In particolare per essere adeguate, secondo la Cedu «le misure deputate a riavvicinare il genitore con suo figlio devono essere attuate rapidamente, perché il trascorrere del tempo può avere delle conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il fanciullo e quello dei genitori che non vive con lui». Non deve trattarsi di misure stereotipate e automatiche. Se, dunque, le figlie hanno difficoltà a rapportarsi con la madre di presenza, se le strutture dei servizi sociali dell'ente cui le bambine sono state affidate non sono in grado di eliminare le difficoltà e, infine, se la madre emigra in un paese lontano, secondo il tribunale, non resta che il ricorso alle risorse tecnologiche per consentire il rapido riavvicinamento del genitore con le figlie.
È utile, quindi, conclude l'ordinanza in esame, anche una interazione audiovisiva in diretta tra la madre e le figlie.
Il tribunale, quindi, ha disposto che la madre possa comunicare via Skype con le minori ogni settimana, per almeno sette settimane consecutive, con la possibilità di eventualmente incrementare i contatti.
Il collegamento Skype può consentire una graduale ripresa di un dialogo tra la madre e le figlie, attraverso una percezione visiva e in voce. Secondo il tribunale questa modalità di frequentazione è l'unica in grado di preparare le figlie a una ripresa dei rapporti con la madre.
Certo anche al tribunale sono chiari i limiti di un rapporto virtuale, che, comunque, costringe a comportamenti artefatti imposti dai limiti del mezzo di comunicazione: davanti a una webcam non si è completamente naturali e si rischia di recitare un ruolo.
Ma può servire come soluzione provvisoria, da monitorare anche dai servizi sociali con l'obiettivo è di tornare a una frequentazione ordinaria.
©Riproduzione riservata