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Trasferimento capitali: offshore non sempre è reato

del 06/04/2013
di: di Cristina Bartelli
Trasferimento capitali: offshore non sempre è reato
Se son trust sfioriranno. Ancor di più se il trasferimento dei capitali nei centri off shore è avvenuto nel rispetto delle normative tributarie internazionali. A 24 ore dall'annuncio della presenza di un offshore leaks, e cioè una fuoriuscita di dati fiscali su società e persone fisiche di 170 paesi che avrebbero conti offshore tutto compresso in oltre 2,5 mln di file, è possibile ipotizzare se e in che modo quei dati, soprattutto per quanto riguarda la parte italiana, possano essere davvero una fonte di innesco per indagini finanziarie e verifiche fiscali o trasformarsi in un bluff.

La Wikileaks dell'evasione, deflagrata mercoledì su scala globale, ha avuto inizio più di un anno fa, quando un anonimo ha spedito a un indirizzo australiano dischetti con 2 milioni e mezzo di dati riguardanti conti e depositi nei paradisi fiscali (si veda ItaliaOggi di ieri). Quei dati sono stati pubblicati contemporaneamente dalle testate di mezzo mondo. I dati dovrebbero riferirsi a intestazioni societarie, a persone fisiche ma anche ai conti e alle transazioni. Per l'Italia, al momento c'è una lista di 200 nomi tra persone fisiche e enti. E l'autorità giudiziaria o il ministero dell'economia non ha ordinato l'acquisizione dell'elenco.

E qui iniziano i primi distinguo. Possedere un conto o essere intestatario di un trust in paesi centri offshore, non è di per sé presunzione assoluta di evasione. Potrebbero infatti essere strumenti organizzati, costruiti e studiati nel pieno rispetto delle normative della fiscalità internazionale e quindi lecite.

Ne è convinto Stefano Loconte, docente universitario di diritto tributario e diritto dei trust: «Al di là del gossip finanziario è assolutamente fuori luogo ed errato demonizzare i trust; gli schemi dei trust utilizzati potrebbero essere perfettamente in linea con le normative vigenti e quindi non ci sarebbe nessuna violazione o abuso». Dello stesso parere Domenico Borzumato di Ernest &Young: «Ho molte perplessità sulle modalità con cui viene condotta la lotta all'evasione da parte dell'amministrazione nonché su queste incredibili violazioni della privacy che mettono alla gogna mediatica dei presunti evasori». Insomma, la lotta all'evasione è corretta e giusta ma si deve tenere conto che un soggetto potrebbe avere una società a Cayman o nelle isole Vergini Britanniche o Antigua, o una casa sulla spiaggia caraibica o una barca, e avere correttamente indicato i beni e le società nel quadro RW pagandoci le imposte dovute. «In quel caso», precisa Borzumato, «non sei evasore perché hai dichiarato che possiedi quella società. Ma se il tuo nome viene pubblicato sui giornali insieme ad altri che magari la società o il conto non lo hanno dichiarato, sei immediatamente accostato a loro. Con tutto quello che ne consegue in termini di immagine. Stessa cosa», aggiunge, «per quei consulenti che magari hanno acquistato la società per conto dei clienti».

Un parallelo con la vicenda di un'altra lista di presunti evasori altrettanto famosa, la lista Falciani, è d'obbligo soprattutto per gli esiti e i percorsi di una eventuale fase 2 dell'offshore leaks in Italia.

Una volta noti questi dati che si fa? Nel caso della lista Falciani, per il fisco italiano è stato un flop. La lista infatti dopo essere stata acquisita dalla Guardia di finanza è stata depotenziata dalla procura di Pinerolo che riconoscendone l'acquisizione illecita ha stabilito che quei nomi fossero distrutti. La conseguenza è stata che in sede di contenzioso tributario molte verifiche innescate dalla lista Falciani sono state cassate perché nel nostro ordinamento vige il divieto di acquisire dati su fonti di innesco di provenienza illecita.

«Per questa lista», spiega Loconte, «sulla base delle informazioni di cui siamo attualmente in possesso, sembrerebbe non ci siano i profili di illiceità che sussistevano per la lista Falciani e quindi l'amministrazione potrebbe ragionevolmente acquisire i dati ma, ovviamente», precisa Loconte, «tali dati da soli non potrebbero giustificare alcun accertamento fiscale e dovrebbero rappresentare solo ed esclusivamente un primo elemento da cui far partire ulteriori accertamenti; in sostanza si trattarebbe di una fonte di innesco per avviare una indagine fiscale più approfondita».

Al momento, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, la Guardia di finanza non ha bussato alla redazione del settimanale italiano in possesso della lista, potrebbe però farlo nei prossimi giorni se qualche procura, come successe per Falciani (in quel caso fu Torino) si decidesse a volerci vedere più chiaro.

Ma chi ha lavorato all'analisi della lista Falciani spiega che è importante anche la qualità del dato. In Falciani, infatti, c'erano i movimenti in dare e avere, i saldi, e non solo il mero intestatario del conto. Un particolare che depotenzierebbe l'appetibilità dell'offshore leaks.

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