Ed è l'imposta versata sui capannoni e gli immobili industriali quella ad aver pesato di più. In linea con i dati a consuntivo resi noti dal dipartimento delle finanze (si veda ItaliaOggi del 13/2/2013) anche Unimpresa evidenzia che i più colpiti sono operatori turistici (alberghi), le piccole industrie (capannoni), e la grande distribuzione (supermercati). «Per saldare l'imposta sugli immobili sono stati chiesti finanziamenti per 4 miliardi», calcola Unimpresa. Per l'associazione è il segnale di uno degli ultimi risvolti della crisi finanziaria internazionale e della recessione economica, a cui si è aggiunto, un inasprimento della pressione fiscale.
Oltre 81.900 pmi associate a Unimpresa, dunque, hanno chiesto soldi alle banche, lo scorso anno, per rispettare le scadenze tributarie. Le rilevazioni sono state effettuate a partire dall'inizio del 2013, attraverso le 60 sedi di Unimpresa sparse su tutto il territorio nazionale. Oltre all'Imu, è l'Irap l'altra tassa che mette in difficoltà gli imprenditori italiani, tenuto conto che l'imposta regionale sulle attività produttive si paga anche quando i bilanci sono in perdita, dunque in assenza di utili. Quanto all'Imu, evidenzia Unimpresa in una nota: «Incrociando i risultati del sondaggio del Centro studi Unimpresa con i dati del dipartimento delle Finanze del ministero dell'Economia, secondo cui l'Imu 2012 relativa alle imprese è stata pari a 6,3 miliardi di euro, si può sostenere che per effettuare i versamenti sono stati contratti nuovi prestiti per quasi 4 miliardi di euro (3,96 mld)». «Tutto ciò genera un triplo effetto negativo sui conti e sulle prospettive di crescita delle aziende» spiega il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. «Il primo», continua Longobardi, «è l'apertura di linee di credito destinate a coprire le imposizioni fiscali invece di nuovi investimenti, il che limita la natura stessa dell'attività di impresa. Il secondo problema sorge, poi, alla chiusura degli esercizi commerciali, quando il valore degli immobili posti a garanzia dei «prestiti fiscali» va decurtato in proporzione al valore dell'ipoteca, con una consequenziale riduzione degli attivi di bilancio. Il terzo «guaio» è relativo a eventuali, altri finanziamenti per i quali l'impresa deve affrontare due ordini di problemi: meno garanzie da presentare in banca e un rating più alto che fa inevitabilmente impennare i tassi di interesse». Secondo Longobardi «questa è la prova che un sistema tributario troppo pesante si accanisce sulle imprese fino a portarle allo sfinimento, se non al fallimento. Attivare linee di credito per pagare le tasse è assurdo: vuol dire la fine del sistema economico. Di fatto l'impresa si trova morsa in una tenaglia, con fisco e credito che tagliano le gambe e chiudono le porte del futuro».
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