
È questa la posizione assunta dalla Corte di cassazione che, con la sentenza n. 4535 del 22 febbraio 2013, sembra non ritenere necessario l'intervento del Parlamento sul tema caldo dell'elusione fiscale, reclamato invece a gran voce da imprese e professionisti.
In altri termini, qualora il giudice tributario o l'ufficio delle entrate si trovino di fronte a un accordo che, al di là di quanto stabilito dalle parti private e dal giudice civile, sembrerebbe simulato, in questo caso perché i prezzi di vendita della merce erano irrisori, possono recuperare a tassazione le maggiori imposte opponendo al contribuente l'elusione fiscale.
Insomma, dice a chiare lettere la sezione tributaria, sia l'Ufficio che il giudice tributario hanno il potere di riqualificare i negozi giuridici a fini fiscali, interpretando e qualificando, anche diversamente dalle parti, la natura e gli effetti giuridici dei vari contratti, quali si possono desumere dalla oggettività del loro contenuto e dalla ricognizione positiva del loro significato, e quindi accertare, come nel caso di specie, la simulazione che pregiudichi il diritto dell'Amministrazione alla percezione dell'esatto tributo. Questa indagine, implicando un'operazione giuridica, vale a dire l'esplicazione di un'attività interpretativa di un negozio giuridico al fine della individuazione degli effetti che esso è idoneo a produrre, può e deve essere compiuta anche dalla Commissione tributaria. È come dire che la qualificazione conferita agli atti dalle parti o dal giudice civile non è intangibile né da parte del giudice tributario, il quale ha il potere di valutare incidentalmente tutte le questioni che, connaturalmente estranee alla sua giurisdizione, sono decisive ai fini della soluzione della controversia devolutagli, né da parte dell'amministrazione finanziaria, la quale, facendosi carico del relativo onere probatorio, ha il potere di riqualificare (prima in sede di accertamento fiscale e poi in sede contenziosa) i contratti sottoscritti dal contribuente, per farne valere la simulazione, e comunque per assoggettarli ad un trattamento fiscale meno favorevole di quello altrimenti applicabile. Quindi sia l'Amministrazione finanziaria che il giudice tributario possono qualificare, ai fini fiscali, autonomamente la fattispecie demandata alla rispettiva cognizione.
La vicenda riguarda un supermercato che aveva stipulato un contratto di fornitura di carni a un prezzo irrisorio e cioè con una percentuale di ricarico pari al 9%.
Per questo il fisco ha recuperato a tassazione le maggiori imposte sostenendo che il contratto era simulato, che il ricarico sarebbe dovuto essere almeno del 20% e che quindi si trattava di un abuso del diritto.