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Riforma: avvocati senza più liberalizzazioni

del 29/01/2013
di: di Gabriele Ventura
Riforma: avvocati senza più liberalizzazioni
Dal 2 febbraio le liberalizzazioni non valgono più per gli avvocati. Dalle lenzuolate di Bersani del 2006 (che hanno abolito le tariffe minime) fino al dpr n. 137/2012 della Severino (che ha passato al restyling gli ordinamenti professionali), la riforma forense (legge n. 247/2012, pubblicata nella G.U. n. 15 del 18 gennaio 2013) cancella quasi tutto. Così, se tutti i professionisti, per esempio, sono obbligati a esibire un preventivo anche se non è il cliente a chiederlo, gli avvocati, dal 2 febbraio, dovranno farlo solo sotto richiesta. Ancora, se nelle future società tra professionisti è ammesso il socio di puro capitale, per le società tra avvocati, nel dlgs che il governo è chiamato a emanare, il socio di capitale andrà escluso. Già, perché, come sottolinea lo stesso Consiglio nazionale forense nel dossier che ha elaborato sulla riforma forense (si veda ItaliaOggi del 24/1/2013), «il testo è una legge speciale che deroga alle disposizioni del codice civile e alla recente normativa sulle professioni». Di più, durante il regime transitorio non sarà il dpr di riforma delle professioni a regolamentare l'attività degli avvocati, ma la vecchia legge di categoria. L'art. 65 della riforma forense, infatti, «prolunga nel tempo l'efficacia delle disposizioni dell'ordinamento forense previgente, fino alla piena attuazione delle disposizioni della riforma». «In buona sostanza», specifica il Cnf, «per quanto abrogate e non più vigenti giacché il legislatore è intervenuto con una nuova regolazione della materia (abrogazione tacita, o implicita), l'efficacia delle disposizioni del rdl 1578/1933 e delle altre disposizioni ordinamentali è prolungata nel tempo dall'art. 65, comma 1, che ne dispone l'ulteriore applicazione fino all'entrata in vigore dei regolamenti». Secondo il centro studi del Cnf, quindi, l'approvazione della riforma forense ha determinato «la sopravvenuta inapplicabilità alla professione forense delle norme contenute nell'art. 3, comma 5, del dl 138/2011, e, conseguentemente, delle norme contenute nel dpr n. 137/2012. Questo, tanto in considerazione del criterio cronologico quanto del criterio di specialità e gerarchico. Più in generale», sottolinea il Cnf, «il primo e più significativo effetto della riforma è quello di sottrarre la professione forense alla delegificazione degli ambiti materiali di cui all'art. 3, comma 5, comportando una “rilegificazione” dello statuto normativo dell'avvocatura».
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