
È quanto affermato dalla Corte di cassazione che, con la sentenza n. 47979 del 12 dicembre 2012, ha accolto in parte il ricorso di un imprenditore indagato per associazione a delinquere finalizzata all'evasione delle imposte mediante l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.
La terza sezione penale ha ricostruito la vicenda sostenendo che la gravità e l'abitualità della condotta illecita dell'uomo, capo di un'associazione che aveva evaso l'Iva per oltre dieci anni e per importi rilevanti, sono da sole insufficienti a sorreggere la misura in carcere.
Insomma, ad avviso degli Ermellini, ha fatto male il Tribunale del Riesame di Genova a confermare la custodia in carcere. Questo perchè i giudici del capoluogo ligure si sono limitati ad affermare che l'unica misura adeguata e congrua appare quella della custodia cautelare in carcere, vista la gravità della condotta e l'entità della pena irrogabile in caso di condanna, nonché l'idoneità di misura meno afflittiva, compresa quella degli arresti domiciliari.
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