Consulenza o Preventivo Gratuito

Patto di stabilità da riformare profondamente

del 20/10/2012
di: Matteo Barbero
Patto di stabilità da riformare profondamente
Il Patto di stabilità interno va profondamente riformato. In caso contrario, nei prossimi anni produrrà effetti ancora più devastanti sulla finanza dei comuni, specialmente di quelli più piccoli, compromettendo anche l'adempimento dell'obbligo di gestione in forma associata delle funzioni fondamentali.

È un vero e proprio ultimatum quello che arriva dai sindaci, riuniti a Bologna in occasione dell'annuale assemblea nazionale dell'Anci.

Il tema è tutt'altro che nuovo, ma il tempo per arrivare ad una riforma organica del Patto si fa sempre più stretto.

Dal 1° gennaio, infatti, in mancanza di un ripensamento legislativo, esso verrà esteso a tutti i comuni con più di 1000 abitanti (finora la soglia è stata quasi sempre fissata a 5000).

I piccoli comuni - ha sottolineato con forza il sindaco di Andora, Franco Floris, presidente della Commissione nazionale Finanze Locali dell'Anci - avranno enormi difficoltà a gestire i relativi vincoli, sia dal punto di vista amministrativo, che soprattutto dal punto di vista contabile e finanziario. Sotto il primo profilo, il Patto, come oggi concepito, impone una serie di adempimenti organizzativi e burocratici cui difficilmente il personale degli enti di minori dimensioni (generalmente esiguo, privo di una formazione specialistica e impegnato a gestire attività eterogenee) sarà in grado di fare fronte.

Ma è soprattutto sul secondo versante che l'allargamento della platea degli enti soggetti al Patto desta allarme. Un recente studio di Anci Piemonte (regione dove, come ha ricordato il sindaco di Collegno Silvana Accossato, la concentrazione di piccoli comuni è elevatissima) prevede entro il 2014 una drastica riduzione (circa il 70%) dei pagamenti in conto capitale da parte dei mini comuni, a fronte di una sostanziale invarianza della spesa corrente. Per non pochi enti, inoltre, anche il previsto azzeramento degli investimenti rischia di non bastare, specialmente se le correlative entrate (per loro natura suscettibili di oscillazioni impreviste) risultassero inferiori alle previsioni: per i piccoli comuni, infatti, è certamente preclusa la strada (battuta da non pochi enti negli scorsi anni) di puntare su entrate straordinarie come alienazioni di beni o di partecipazioni.

Inoltre, il Patto rischia di rappresentare un ostacolo formidabile alla costruzione delle forme associative (unioni o convenzioni) che entro la fine del 2013 dovranno obbligatoriamente gestire le funzioni fondamentali.

Da qui la richiesta di un intervento correttivo, peraltro annunciato dall'attuale Governo fin dal suo insediamento e addirittura tradotto in una norma programmatica inserita nel decreto “salva Italia” (art. 28, comma 11-ter, del dl 201/2011).

Finora, tuttavia, gli interventi normativi si sono limitati a prevedere dei correttivi parziali, perlopiù potenziando gli strumenti di compensazione sia a livello nazionale che a livello regionale.

Il premier Mario Monti, nel suo intervento di apertura dell'assise dei sindaci, ha affermato che ogni intervento sul Patto dipende dall'esito delle proposte di ammorbidimento dei vincoli europei formulate dall'Italia in sede Ue. Una posizione attendista che suscitato aspre critiche da parte dei primi cittadini.

Il problema è che qualsiasi alleggerimento del Patto richiede di essere compensato per non pensare in termini negativi sui saldi di finanza pubblica. Ad esempio, l'esonero dei piccoli comuni è cifrato poco meno di 1 miliardo di euro, che difficilmente potranno essere caricati sulle spalle dei comuni maggiori.

Una possibile via d'uscita, suggerita dall'Ifel, sarebbe convincere le regioni a farsi carico di tale onere caricandolo sul proprio obiettivo di Patto nell'ambito del Patto regionalizzato. Ma in tal modo, si rischia comunque di peggiorare la situazione dei comuni più' grandi, consumando buona parte del tesoretto in mano ai governatori.

vota