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Il rimborso è legittimato se c'è l'assoluzione

del 03/10/2012
di: di Giancarlo Marzo e Stefano Loconte
Il rimborso è legittimato se c'è l'assoluzione
La sentenza definitiva di assoluzione ovvero quella di non luogo a procedere fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla prescrizione, intervenuta in favore del contribuente successivamente all'azione accertatrice dell'Amministrazione finanziaria, fa venire meno i presupposti del recupero e legittima il rimborso delle maggiori imposte e interessi versati anche allorché divenga definitiva successivamente alla formazione di un giudicato tributario sfavorevole al contribuente. Questa è una delle soluzioni interpretative fornite da Assonime con la circolare n. 25 dello scorso 28 settembre in commento alla vigente normativa dei cd. costi da reato. Con tale intervento, Assonime ha posto l'accento su una serie di questioni interpretative rimaste ancora irrisolte nonostante i chiarimenti resi dall'Ade con la circolare n. 32/E. In particolare, non del tutto condivise sono state valutate le soluzioni interpretative suggerite circa la nozione di «provvedimenti dell'autorità giudiziaria» alla quale le nuove disposizioni subordinano l'applicabilità del regime, il «momento di perfezionamento del presupposto applicativo» nonché il «coordinamento tra azione dell'Autorità giudiziaria e quella dell'Amministrazione finanziaria». Con riferimento al primo aspetto, come noto, il primo comma dell'art. 8 del dl n. 16/2012 oltre a individuare la nozione di costi da reato indeducibili, al fine di garantire il contribuente da un possibile uso strumentale della norma, ha subordinato la qualificabilità della condotta come delitto e la conseguente indeducibilità della relativa componente negativa di reddito, all'avvio dell'azione penale da parte del pubblico ministero o, comunque, all'emissione da parte del giudice del decreto di rinvio a giudizio. Assonime, condividendo la posizione resa sul punto dall'Ade e dirimendo i dubbi di quanti avevano ipotizzato la necessità di un doppio filtro ai fini del disconoscimento del costo, ha chiarito che l'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero determina, di per sé, un atto idoneo a integrare il presupposto di accesso al nuovo regime. L'adozione di un provvedimento da parte del giudice, viceversa, costituisce un diverso e autonomo presupposto di applicazione della norma che si verifica allorché il giudice delle indagini preliminari pervenga a una qualificazione del reato rilevante ai fini dell'indeducibilità del costo sebbene diversa da quella contestata dal pm. Unica differenza tra i due autonomi presupposti applicativi, risiederebbe dunque nel momento di perfezionamento degli stessi: mentre nella prima ipotesi si realizzano al momento dell'avvio dell'azione penale da parte del pm, nella seconda, occorrerà attendere il decreto con il quale il giudice dispone il rinvio a giudizio. In relazione ai criteri di coordinamento tra l'azione dell'Autorità giudiziaria e quella dell'Amministrazione finanziaria, viceversa, non pienamente condivisibili sono sembrate le conclusioni della circolare 32/E. Il richiamato documento di prassi ha stabilito che la conoscenza da parte degli Uffici dell'avvio dell'azione penale in relazione (…), integra quella «sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi» richiesta dal quarto comma dell'articolo 43 del dpr 600/1973, al fine dell'emissione di un accertamento integrativo.

L'ufficio dunque, in presenza di pvc che abbia fatto sorgere la notitia criminis e l'obbligo di denuncia, potrebbe rinviare la contestazione dei costi utilizzati per il compimento di reati non colposi a un accertamento integrativo da emettere successivamente all'azione del pm. Sul punto, Assonime ha valutato opinabili le conclusioni dell'Ade che, in questo lasso temporale, pur riconoscendo il contribuente rinviato a giudizio la possibilità di presentare dichiarazione integrativa ai sensi dell'art. 2 comma 8, del dpr 322/1998, ha circoscritto tale possibilità, esclusivamente al caso in cui non sia già stato dato avvio ad attività di controllo e verifica. La questione riveste una notevole importanza specie in considerazione della possibilità riconosciuta al contribuente successivamente assolto in sede penale, di chiedere il rimborso delle somme indebitamente pagate per effetto dell'accertamento ovvero del ravvedimento operoso effettuato. In considerazione della specialità della disposizione introdotta, che subordina la pretesa tributaria all'esito del procedimento penale, infatti, il contribuente assolto dal giudice penale ha diritto al rimborso di quanto versato anche qualora abbia definito la pretesa con uno degli strumenti deflativi del contenzioso a sua disposizione. Nonostante l'assenza di precisazioni ministeriali sul punto, il medesimo trattamento dovrà essere riservato al contribuente qualora la sentenza penale di assoluzione divenga definitiva dopo la formazione di giudicato tributario sfavorevole al contribuente.

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