Conferimenti in coop. La questione, trattata nella risoluzione n. 65/E, concerne la nascita di un nuovo presupposto Iva per i prodotti conferiti dai soci nella cooperativa agricola che procede nella relativa commercializzazione.
In pratica, i soci cedono i prodotti alla cooperativa, emettono inizialmente una fattura di acconto e, successivamente, l'ente mutualistico procede nella cessione dei prodotti a terzi e, a chiusura dell'esercizio, determina gli importi da liquidare, in via definitiva ai soci, tenendo conto dei prezzi di realizzo e dei costi di gestione sostenuti, sulla base della quantità e della qualità dei prodotti ceduti.
L'associazione istante si poneva il problema se, ai fini dell'Iva, l'attività svolta dalla cooperativa per conto dei soci si configurasse come una prestazione autonoma e rilevante ai fini del tributo o rappresentasse una mera prosecuzione dell'attività dei soci.
L'Agenzia conferma che, nella fattispecie, la cooperativa, ai sensi dell'art. 1, dlgs n. 228/2001, si configura come un produttore agricolo, che può applicare anche il regime speciale, di cui all'art. 34, dpr n. 633/1972, giacché la stessa svolge un'attività connessa sui prodotti conferiti dai soci che si configura come un mero rapporto di continuità nell'esercizio delle attività agricole, di cui all'art. 2135 c.c..
Sul punto, l'Agenzia richiama un datato documento di prassi (risoluzione n. 6 del 1997), intervenuto sul tema, che ha confermato che le attività di manipolazione e trasformazione eseguite dalle cooperative sui prodotti conferiti dai soci non assumono una rilevanza autonoma, ancorché nella stesura attuale dell'art. 34, dpr n. 633/1972 non si qualifichi più il rapporto tra ente e socio come un rapporto di commissione alla vendita.
Infatti, la mancata previsione, nel citato art. 34, di un'autonoma rilevanza delle attività connesse (manipolazione e trasformazione) eseguite dalla cooperativa non può che confermare che la commercializzazione dei prodotti dei soci, a cura dell'ente, non dà assolutamente luogo ad altre operazioni imponibili.
Prelazione terreni. L'istante ha chiesto all'Agenzia se, avendo versato l'imposta di registro nella misura del 15% per l'acquisto di un terreno agricolo, lo stesso soggetto avesse diritto al rimborso di tale tributo nel caso in cui l'affittuario del terreno, che ha fatto valere il proprio diritto di prelazione con una citazione in giudizio dell'acquirente, ottenga una sentenza favorevole.
Si tratta di un caso di riscatto agrario, di cui all'art. 8, legge n. 590/1965, che prevede la prelazione dell'affittuario nell'acquisto del terreno a titolo oneroso e della fattispecie in cui la compravendita è eseguita da un altro soggetto (non affittuario) che ha versato l'aliquota ordinaria dell'imposta di registro.
In tal caso si rendeva necessario comprendere se l'esercizio del diritto di riscatto producesse o meno la risoluzione dell'originario contratto di compravendita, la contestuale formazione di un nuovo titolo di acquisto e, di conseguenza, se fosse possibile il rimborso del tributo versato dal primo acquirente.
Come indicato dalla Suprema corte (Cassazione, sentenza 12551/2001), che ha assimilato il diritto di riscatto urbano alla prelazione agraria (Cassazione, sentenza 17433/2006), si conferma l'obbligo di tassazione del trasferimento ai sensi del combinato disposto degli articoli 1, dpr n. 131/1986 e 8, lett. a), comma 1, della Tariffa, con la necessaria tassazione della sentenza che accerta il diritto di riscatto e l'effetto retroattivo della prelazione.
Di conseguenza, per le Entrate, il primo acquirente spossessato del terreno per effetto della sentenza ha sicuramente diritto al rimborso dell'imposta di registro, decurtata la quota di tributo da determinare in misura fissa (euro 168), entro tre anni dal giorno del pagamento o di quello in cui è sorto il diritto alla restituzione ai sensi dell'art. 77 del testo unico del registro (Tur) che in tal caso si concretizza in tre anni dalla data della sentenza di pronuncia del diritto di riscatto.