
Nella sentenza redatta da Sabino Cassese, la Consulta ha però stoppato il tentativo della regione. Perché, come più volte chiarito dalla Corte, l'Irap non è un tributo regionale, nel senso che può essere liberamente modificabile da parte degli enti, ma un tributo statale che lo stato continua a regolare, circoscrivendo con precisione gli ambiti di intervento delle regioni, nonostante il relativo gettito sia devoluto agli enti territoriali. La conseguenza è che proprio per questa ragione i governatori, con propria legge, possono sì intervenire sulla disciplina del tributo ma sempre «nei limiti e secondo criteri fissati dalla legislazione statale». Nel 2013, come detto, i poteri delle regioni si amplieranno consentendo libertà di manovra anche sulla base imponibile, ma fino a quella data gli enti hanno le mani legate. «Un'ipotesi di deduzione dalla base imponibile Irap», chiarisce senza mezzi termini la Consulta, «non è prevista dalla legislazione statale e, in quanto riferita agli anni 2011 e 2012, è in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera e) in materia di sistema tributario e contabile dello stato».
Lsu delle comunità montane. Disco rosso alla stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili delle ormai soppresse comunità montane. L'alt è arrivato dalla Consulta che con la sentenza n. 51/2012, depositata ieri in cancelleria, ha bocciato alcune norme della legge regionale del Molise n. 6/2011 nella parte in cui prevedeva che la regione coprisse i posti vacanti in organico attraverso la mobilità del personale a tempo indeterminato e gli Lsu delle Comunità montane. La Corte costituzionale ha accolto le tesi di palazzo Chigi richiamando la propria precedente giurisprudenza che ha più volte censurato, per contrasto con l'art. 97 Cost., norme che prevedevano procedure di stabilizzazione di personale impegnato in lavori socialmente utili senza porre limiti percentuali al ricorso a tale tipo di assunzione e «senza fornire indicazioni circa la sussistenza dei requisiti per poter ammettere deroghe al principio del concorso pubblico».
Appalti pubblici e tutela della salute. Le regioni non possono prevedere una disciplina diversa da quella del codice dei contratti pubblici in materia di qualificazione e selezione dei concorrenti. Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 52/2012, depositata ieri in cancelleria, che ha bocciato una legge della regione Marche (n. 20/2011) rea di aver previsto una soglia minima di ammissibilità delle offerte correlata alla valutazione della tutela della salute e della sicurezza nei cantieri. Un aspetto che, a giudizio di Sabino Cassese, redattore della sentenza, non compete ai governatori. La tutela della salute e della sicurezza sono infatti criteri di valutazione delle offerte (e tali sono considerati dal Codice dei contratti pubblici), ma non possono costituire criteri di ammissibilità delle stesse. Di qui l'illegittimità costituzionale della norma. Disco rosso agli incarichi solo fiduciari. I presidenti regionali non possono avvalersi di professionalità esterne scegliendole soltanto sulla base di criteri fiduciari, ma devono comunque far prevalere criteri di professionalità e competenza. Il tentativo da parte della regione Piemonte di bypassare (con la legge n. 7/2011) i criteri previsti dal Testo unico del pubblico impiego (dlgs n. 165/2011) è stato stigmatizzato dalla Consulta nella sentenza n. 53/2012. Nella decisione, depositata ieri in cancelleria, il giudice estensore Luigi Mazzella ha richiamato la passata giurisprudenza della Corte in cui più volte (da ultimo nella sentenza n. 252/2009) è stato espresso il principio secondo cui le regioni possono derogare ai criteri statali sull'affidamento degli incarichi purché, in alternativa, si prevedano «altri criteri di valutazione ugualmente idonei a garantire la competenza e la professionalità dei soggetti e a scongiurare il pericolo di un uso strumentale e clientelare delle cosiddette esternalizzazioni». Va però esclusa la possibilità di affidare incarichi esclusivamente sulla base di rapporti fiduciari.