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La mediazione delle controversie civili e commerciali

del 04/10/2010

La mediazione delle controversie civili e commerciali

Alla luce dell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69 in cui il Governo era stato chiamato ad adottare “uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale” allo scopo di “disciplinare la mediazione, nel rispetto della normativa comunitaria, anche attraverso l’estensione delle disposizioni di cui al decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, e in ogni caso attraverso l’istituzione, presso il Ministero della giustizia… di un Registro degli organismi di conciliazione”.
In virtù di tale delega è stato emanato il d. lgs. 4 marzo 2010, n. 28, che rappresenta nel nostro Paese la prima organica regolamentazione dell’istituto della conciliazione, ora chiamata mediazione, attraverso un contemperamento delle esigenze di natura comunitaria e della necessità di creare uno strumento completo e ad ampio raggio nell’ambito delle controversie civili e commerciali aventi ad oggetto diritti disponibili.
In base all’art. 2 del d. lgs. n. 28 del 2010 possono formare oggetto di tutte le controversie civili e commerciali aventi ad oggetto diritti disponibili, senza che ciò possa formare oggetto di preclusione per le negoziazioni volontarie e paritetico aventi ad oggetto le medesime controversie, né per le procedure di reclamo previste dalla carte dei servizi.
La più rilevante novità della disciplina introdotta è costituita dalla previsione contenuta all’art. 5 del decreto che pone la mediazione come condizione di procedibilità per l’avvio del contenzioso in sede ordinaria rispetto alle materie ivi elencate.
Si tratta di controversie in cui il rapporto tra le parti è destinato, per le più diverse ragioni, a prolungarsi nel tempo, anche oltre la definizione della singola lite, ovvero di casi di rapporti particolarmente conflittuali, rispetto ai quali, anche per la natura della disputa, è quindi particolarmente più fertile il terreno della composizione stragiudiziale, rispetto ad ogni altra forma di componimento.
La mediazione obbligatoria, in vigore decorsi dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto, ovverosia il 20 marzo 2011, riguarda le liti in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.
In tali materie, la parte che intende agire in giudizio ha l’onere di tentare la mediazione e, in merito a tale obbligo deve essere informata dal proprio avvocato, a pena di annullabilità del mandato difensivo, il quale deve fare sottoscrivere al proprio assistito un’apposita informativa da allegare all’atto introduttivo del giudizio (art. 4, comma 2).
Nell’ipotesi in cui il giudice rilevi la mancata allegazione del documento all’atto introduttivo del giudizio, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione dinnanzi ad un organismo riconosciuto dal Ministero della giustizia e può sospendere il procedimento fino alla conclusione del tentativo di mediazione.
In ogni altra materia la mediazione può essere avviata dalle parti su base volontaria, sia prima che durante il processo.
In linea con i principi della legge delega, che, a loro volta, fanno rinvio sul punto alla normativa comunitaria e alla disciplina della conciliazione societaria, la scelta di fondo del legislatore è stata quella di valorizzare le esperienze autoregolative e di minimizzare l’intervento statale nella normazione del concreto esercizio dell’attività di mediazione che viene disciplinata in modo prevalente dal regolamento privato, di cui ciascun singolo organismo deve dotarsi e che deve essere depositato presso il Ministero della giustizia all’atto dell’iscrizione al registro dell’organismo stesso.
La finalità deflattiva del contenzioso e la diffusione di una ancora più ampia cultura della mediazione e, più in generale, degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, trova piena cittadinanza nel nuovo testo normativo che si pone, quindi, in un’ottica di assoluta continuità con le esperienze già sviluppatesi in Italia negli ultimi anni, dove, a fare tempo dalla legge di riforma del risparmio, si sono affiancati alla giustizia ordinaria numerosi strumenti ADR.
Prima della riforma del processo civile di cui alla legge n. 69 del 2009, con particolare riferimento alla conciliazione nel settore societario e finanziario, il Governo era stato chiamato “a prevedere forme di conciliazione delle controversie civili in materia societaria anche dinnanzi a organismi istituiti da enti privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza e che siano iscritti in un apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia” in base alla disposizione contenuta al quarto comma dell’art. 12 della legge n. 366 del 2001 ed aveva provveduto, così, a regolamentare, all’epoca, per la prima volta, in modo compiuto all’interno di una disciplina processuale, la conciliazione stragiudiziale con gli art. 38, 39 e 40 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5.
Come si leggeva nella relazione di accompagnamento al decreto, il legislatore delegato aveva inteso “sull’abbrivio di precedenti esperienze de jure condendo e in adesione a numerose proposte ancora all’esame del Parlamento - disciplinare l’accesso a sistemi di ADR organizzati da enti pubblici e privati, in condizioni di concorrenza paritaria e sotto il controllo del Ministro della giustizia, presso il quale devono essere compiuti gli adempimenti che abilitano allo svolgimento del servizio la cui promozione avviene attraverso l’ampliamento dei canali di accesso al medesimo”.
Il termine conciliazione, alla luce delle definizioni contenute all’art. 1 del d. lgs. n. 28 del 2010, è stato relegato dal legislatore ad indicare una parte del procedimento di mediazione e, più precisamente “la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento di una mediazione”.
La mediazione, quindi, secondo il nuovo termine utilizzato, sempre in base alle definizioni di cui all’art. 1 del decreto costituisce “l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa” e si pone nell’alveo della tradizione della conciliazione, venendola, secondo l’intento del legislatore, a sostituire nell’ambito di tutte quelle materie che dispongono di una disciplina speciale della conciliazione, come, ad esempio, in tema di telecomunicazioni e di subfornitura industriale.
Ne consegue, quindi, che si può affermare che la mediazione al pari della conciliazione, anche grazie all’inciso “l’attività, comunque denominata…”, costituisce uno strumento di risoluzione delle controversie alternativo alla giurisdizione ordinaria ed a quella arbitrale.
Come è noto, il nostro codice di rito contempla varie ipotesi di conciliazione che devono o possono essere esperite dal giudice o dal consulente tecnico, ma nessuna così ampiamente regolata e disciplinata quale quella introdotta dal d. lgs. n. 28 del 2010.
I motivi per i quali la mediazione nell’ambito delle civili e commerciali può avere nel nostro Paese quel successo che già ha avuto, in parte la conciliazione in Italia e la mediazione all’estero sono dati, in particolare modo, aldilà dell’obbligatorietà in alcuni settori di applicazione, dal fatto che consente di addivenire ad esiti compositivi delle controversie meno convenzionali e tendenzialmente più soddisfacenti e remunerativi per le parti.
Infatti, ove la mediazione abbia esito positivo, non vi è ragione perché esistano vinti o vincitori, ma solo due o più parti che hanno raggiunto un accordo totalmente soddisfacente per entrambe.
Alla figura del “conciliatore” la nuova disciplina, nell’ambito delle materie dalla stessa regolate, viene a sostituire la figura del mediatore del quale l’art. 1 del decreto fornisce un’identica definizione, vale a dire “la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo”.
In questi ultimi anni, la produzione legislativa e le proposte di legge hanno esaltato il ruolo della conciliazione, fors’anche in modo eccessivo rispetto alla ancora minima diffusione di una vera cultura dello strumento stesso.
Come è noto, nell’ambito del nostro ordinamento, la prima norma che ha aperto la strada alla diffusione della conciliazione è stata la legge n. 580 del 1993, la quale ha previsto all’art. 4 che “le Camere di commercio, singolarmente o in forma associata, possono tra l’altro: promuovere la costituzione di commissioni arbitrali e conciliative per la risoluzione delle controversie tra imprese e consumatori ed utenti”. Tale previsione è rimasta pressoché ignorata fino all’introduzione della legge n. 192 del 1998 che ha imposto alle Camere di commercio la costituzione al loro interno di sportelli o camere di conciliazione.
Successivamente, molti interventi legislativi hanno demandato a tali sportelli o camere di conciliazione costituiti presso le Camere di commercio, la gestione del contenzioso mediante strumenti ADR, primi tra tutti la legge 281/98, oggi abrogata e sostituita dal decreto legislativo n. 6 del 2005, e la legge n. 135 del 2001, nonché il decreto legislativo n. 5 del 2003, la legge n. 129 del 2004, l’art. 768-octies c.c., la legge n. 262 del 2005 ed i relativi decreti attuativi hanno, di volta in volta, ampliato l’ambito delle materie la cui cognizione poteva essere devoluta allo strumento conciliativo.

Prof. Avv. Nicola Soldati - Avvocato in Modena
Studio Legale Soldati

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