
Il datore di lavoro è responsabile dell'infortunio di un suo dipendente anche se la causa è imputabile a imperizia o negligenza di quest'ultimo? La risposta è sì e la fornisce la sentenza della Corte di Cassazione n. 9167/13 dello scorso 16 aprile. I giudici della Corte Suprema hanno infatti stabilito che il datore di lavoro ha l'obbligo di vigilare sui suoi dipendenti fornendo loro le protezioni necessarie alla tutela della loro incolumità e deve assicurarsi che esse vengano utilizzate adeguatamente.
Il caso di merito di fronte cui si sono trovati ad esprimersi gli Ermellini
era quello di un lavoratore che a causa di un incidente aveva riportato
lesioni agli occhi di una certa importanza. L'operaio stava usando una
pompa che erogava soda caustica per pulire le canaline utilizzate nel processo
di vinificazione dell'azienda per cui lavora senza indossare gli
occhiali protettivi. Il tubo si è rotto e la sostanza corrosiva lo ha
colpito sul volto e sugli occhi in modo abbastanza grave.
Secondo i giudici della Cassazione l'infortunio subito dal
lavoratore era interamente da addebitarsi al suo datore, non
solo perché non stava vigilando su quanto stava facendo il dipendente, ma anche
perché gli ha fornito uno strumento che, per la sua pericolosità, non era
idoneo all'utilizzo in atto e inoltre non aveva neppure munito l'operaio degli
occhiali protettivi. Queste le ragioni per cui la corte del Palazzaccio ha
ritenuto il datore di lavoro responsabile, dando così ragione ai precedenti
pronunciamenti dei giudici territoriali.
Questa sentenza non è altro che l'ultima di una lunga serie con cui i
giudici dell'Alta Corte si sono espressi su casi simili, in tutela dei
lavoratori.
La responsabilità dunque resta interamente a carico del datore
di lavoro salvo i casi in cui il lavoratore adotti un comportamento “abnorme,
inopinabile e del tutto eccezionale” che lo ponga quindi, come stabilito anche
da precedenti sentenze, in posizione di unico responsabile del danno alla sua
persona durate l'orario di lavoro.
Già in precendeza, con le sentenze n. 5024/02 e n. 1994/12, la Corte di Cassazione aveva precisato che il datore non può invocare il concorso di colpa in quanto quest'ultimo ha il dovere di proteggere il suo dipendente che opera in situazioni “imposte” dalla condizione di subordinazione che il rapporto lavorativo stabilisce. La responsabilità, precisa il pronunciamento, "va addebitata al datore di lavoro, il cui comportamento, si concretizza invece nella violazione di specifiche norme antifortunistiche (o di regole di comune prudenza) e nell’ordine di eseguire incombenze lavorative pericolose, funge da unico efficiente fattore causale dell’evento dannoso”.