
I reati alimentari sono prettamente colposi, ciò vuol dire che non è richiesta la volontà di agire né la rappresentazione dell’evento, perché si possa configurare la fattispecie delittuosa a carico dell’agente ed il danno in sfavore della vittima. Basterà, quindi, la semplice imprudenza.
I “reati alimentari” sono elencati agli articoli 439 – 440 – 442 – 444 – 516 – 517 del codice penale, e rispettivamente riguardano l’avvelenamento di acque o sostanze alimentari; l’adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari; il commercio di sostanze alimentari contraffatte o adulterate; il commercio di sostanze alimentari nocive; la vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine.
Questo genere di delitto è procedibile d’ufficio, ciò vuol dire che non esistono termini di “scadenza” per la presentazione della denuncia – querela, potendo, pertanto, essere rappresentati all’Autorità Giudiziaria in qualsiasi momento e da chiunque.
Altre disposizioni speciali in materia sono la Legge 283/62 che all’art. 5, lett. b), n.6, comma 4, stabilisce che è punito, con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 39 a 30.987 Euro, colui che somministra sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione o altrimenti le impiega per la preparazione di altri alimenti o bevande, li vende, li detiene per vendere o li distribuisce per il consumo.
Nonostante che i “reati alimentari” possano essere commessi da chiunque, la giurisprudenza ritiene che rispondono penalmente anche i responsabili delle imprese, gli amministratori delle persone giuridiche e gli imprenditori, nonché imprese a carattere familiare.
Il
Decreto Legislativo del ’90, n. 507, ha depenalizzato varie forme di “reato
alimentare”, trasformandoli in illeciti amministrativi, fra cui rientrano le
violazioni in materia di rintracciabilità, di avvio delle procedure per il
ritiro di merci dal mercato, di comunicazioni in caso di ritiro merci dal
mercato, di reiterazione delle violazioni amministrative.